GIOVANNI CAMUSSO  E  LA CAPRONI

 

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E’ certo che l’esperienza vissuta da Giovanni Camusso alla "Aeroplani Caproni" ne segnò definitivamente la vita ed il modo di pensare. Lì, più che altrove si  trovò ad affrontare la repressione fascista e conobbe, nella parte più sensibile della popolazione, il risveglio di una coscienza di lotta. L'esperienza fatta alla Caproni  maturò in lui una grande consapevolezza.

Il 16 novembre 1939 la "Aeroplani Caproni" annunciò a Camusso la sua assunzione come disegnatore prospettivista addetto all’ufficio pubblicazioni tecniche con decorrenza dal 23 ottobre 1939.

 

     

Fig. 1  Lettera di assunzione Caproni 23.11.1939 - Collezione Camusso

 

Benché a partire dal 1938 si fosse manifestato un notevole rallentamento dello sviluppo tecnico nel settore aeronautico, dovuto probabilmente ai limiti imposti dalla politica autarchica del fascismo,  […] lavorare alla Caproni significava sicurezza di un lavoro […] La Caproni era simbolo di prestigio, nonostante un declino che nessuno immaginava imminente. Lavorare alla Caproni, come in altri stabilimenti del tempo definiti "di interesse nazionale" permetteva all'operaio di sfuggire alla incerta sorte dei più. Le maestranze erano il fior fiore della gioventù operaia italiana. Perfino il regime doveva chiudere un occhio su certe insofferenze perché aveva bisogno degli operai della Caproni per la sua produzione[…]. [ Pesce G. 2005].

 

Nonostante gli indubbi vantaggi, l’atmosfera alla Caproni era pesante e vi vigeva in vero e proprio stato di polizia:

[…]Diversi gerarchi fascisti occupavano posti di rilievo nella struttura della direzione aziendale: massima autorità politica, oltre che delegato sindacale, il maggiore dell’esercito della RSI Stefano Guaraldi, membro della IIa Sezione Fabbriguerra dello stabilimento; Cesare Cesarini, responsabile dell’ufficio personale, tenente colonnello dell’Aeronautica Repubblicana e tenente onorario della “Muti”; Paolo Danese, capo dell’ufficio disciplina, confidente dell'OVRA e comandante del presidio della GNR nello stabilimento dal dicembre del 1943. Spie dell’OVRA erano presenti in ogni reparto, e il maggiore di disciplina Stefano Guaraldi poteva contare su zelanti confidenti come Ernesto Cipolla, Cologni, De Scipio, Marazzini, Primiero Lamperti e l’ing. De Bellis, [De Biaggi C. 29.10.2015].

 

Fig.  2  "Giustizia! " L'uccisione di Cesarini in "Pam il Partigiano" n. 4 - Collezione Luciano Niccolai

Dal gennaio del 1940 Cesare Cesarini spadroneggiava in fabbrica come responsabile dell’ufficio del personale.

 

All’interno della Caproni gli operai si stavano organizzando, ma il clima instaurato dai fascisti della Muti (corpo militare della Repubblica Sociale Italiana con compiti di polizia politica e militare) agli ordini di Cesare Cesarini, era insostenibile.

 

Cesare Cesarini era tenente colonnello onorario della Muti e negli anni fu responsabile della schedatura di molti antifascisti e della deportazione di numerosi dipendenti dello stabilimento verso i campi di concentramento di Mauthausen e dei relativi sottocampi riservati ai detenuti politici.

 

Cesarini fu infine eliminato da Giovanni Pesce, nome di battaglia Visone, che la mattina del 16 marzo 1945, in via Mugello angolo corso XXII Marzo, affrontò lui e le due guardie del corpo armate di mitra. [Giannantoni F., Paolucci  I. 2005].

 

Con due pistole Pesce uccise Cesarini e ferì le due guardie. Poi gridò frasi di rivolta ai milanesi presenti in centro città che applaudirono l'azione [Pesce G., 2005] e  si allontanò in bicicletta mettendosi in salvo.

 

Questa azione fu riportata da  Camus come racconto illustrato intitolato "Giustizia! nella seconda di copertina del suo fumetto  n. 4 di "PAM il Partigiano" (1946). 

 

 

 

[…]Alla Caproni ritorna il colonnello Cesarini bestia inferocita, l'immagine della prepotenza e del terrore. Ostenta la violenza e il cinismo. Assiste agli arresti; firma personalmente ogni atto di repressione. È insolente, ottuso, sanguinario. L'uomo che prima della guerra in fabbrica era incaricato della disciplina aziendale, ora è l'incarnazione della vendetta e della rappresaglia; l'immagine stessa del fascismo repubblichino. Ordina la schedatura degli antifascisti che si sono distinti nel periodo badogliano. Molti fanno già parte dell'organizzazione clandestina che ha già cominciato ad operare in fabbrica. Ha inizio il confronto senza quartiere tra i repubblichini della brigata nera che presidia gli stabilimenti e sorveglia gli uomini, li spia e li arresta e gli uomini dell'organizzazione clandestina che preparano le azioni di sabotaggio, che reclutano i combattenti per le formazioni di montagna e si sforzano di neutralizzare delatori e aguzzini. L'ingegnere Giovanni Cervi, dirigente di Giustizia e Libertà portato a San Vittore, viene fucilato all'Arena, in una mattina nebbiosa dell'ottobre del '43.  (in realtà Cervi fu arrestato nell'ottobre ma fucilato il 19 dicembre 1943 per rappresaglia a seguito dell'uccisione da parte dei GAP del federale Resega avvenuta il 18 dicembre 1943 [De Biaggi C. 23.10.2017]). È la prima vittima del colonnello Cesarini. L'assassinio alimenta un'atmosfera di odio; la presenza del gerarca e una provocazione continua sia quando, in ufficio, interroga gli operai, sia quando passeggia di reparto in reparto, seguito dai pretoriani. Gli operai proclamano lo sciopero: ben quattromila si assentano dal lavoro. [Pesce G. 2005].

 

Alla Caproni Giovanni Camusso conobbe molto bene anche Paolo Danese che raffigurò in una caricatura.

 

Fig. 3  Paolo Danese - Collezione Camusso

La figura del personaggio fascista che indossa una casacca con il teschio e le due tibie incrociate altri  non è che Paolo  Danese, capo delle guardie delle "Officine Caproni" e confidente dell’OVRA la Polizia Segreta dell'Italia fascista dal 1930 al 1943 e della Repubblica Sociale Italiana dal 1943 al 1945.

 

Danese è ricordato anche nella pubblicazione di Claudio De Biaggi   “Il ragazzo dalla sciarpa rossa” storia di Giuseppe De Zorzi Naco entrato alla Caproni come apprendista in falegnameria che racconta:

 

[] ai primi di marzo del 1943…casualmente indossavo una sciarpa rossa…Dopo pochi passi sentii la voce di Paolo Danese, capo dell’ufficio disciplina della Caproni, che mi ordinò di fermarmi e, senza alcuna spiegazione, mi prese ripetutamente a sberle. Voleva sapere dov’era il covo dei comunisti, ed io gridai con quanto fiato avevo in gola che non ne sapevo nulla”. [De Biaggi C.  n.d.]

 

 Per Danese una sciarpa rossa era motivo più che sufficiente per essere qualificati comunisti, specie dopo gli scioperi che  caratterizzarono la primavera del 1943.

 

Danese venne fucilato il 30 aprile 1945 da un plotone di esecuzione composto dai partigiani della 196° Brigata SAP, costituitasi presso la Caproni nei giorni dell'insurrezione.

 

Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno del 1940,  la Caproni divenne un’industria protetta ed iniziò la produzione per i tedeschi.  Era sicuramente un’azienda di importanza strategica tanto che la RAF, nella notte tra il 16 e il 17 giugno 1940, organizzò un’incursione aerea su Milano durante la quale furono sganciati dei bengala nelle  zone attigue alla fabbrica seguiti  da  25 bombe che sbagliarono l'obiettivo. La Caproni subì nel tempo vari bombardamenti, i peggiori si ebbero nella notte tra il 14 e il 15 febbraio 1943 quando furono distrutti due capannoni e mezzo ed il 28 marzo 1944 quando alcune bombe dirompenti caddero sull'aeroporto Forlanini e su alcuni capannoni della Caproni, con gravi danni per quattro aerei [De Biaggi C. 23.10.2017].

 

Fig. 4 Il Duomo di Milano

 

 

Fig. 5 Milano bombardata

 

.La situazione in fabbrica era sempre più difficile. Dall’agosto del 1943, dopo l’arresto di Mussolini, in previsione dell’uscita dell’Italia dalla guerra e della smobilitazione dell'industria bellica, una massiccia ondata di licenziamenti colpì numerose fabbriche: alla Caproni  su 6.000 dipendenti ci furono 2.000 licenziamenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Fig,  6  Scioperi a Milano Dicembre 1943

Dopo gli scioperi del marzo 1943, avvenuti prevalentemente per motivazioni economiche,  e quelli più propriamente politici del dicembre  1943, […]arresti, deportazioni e l'allontanamento dalla fabbrica di molti dirigenti della lotta clandestina, non impediscono la massiccia partecipazione agli scioperi del marzo 1944. La situazione si aggrava. Non si tratta più di arresti isolati ma di decimazioni in massa.[…][Pesce G. 2005].

 

[...]Le rappresaglie creano vuoti in ogni reparto. Se il compagno di lavoro non si fa vedere per un giorno o due non vi é dubbio che sia in prigione. Dalla prigione molti partiranno per la Germania; altri moriranno su qualche piazza o a qualche angolo di via, impiccati. Lo si saprà scorrendo i giornali o leggendo i nomi dei "banditi" fucilati. Nel frattempo bisogna stare in guardia: attorno al posto dell'assente si aggira uno sgherro della Muti o una faccia sospetta di spia; bisogna evitare di chiedere notizie del compagno per non subire la stessa sorte. Contro i 30 della Muti agli ordini di Cesarini gli operai resistono ma non cedono. [...] (Dopo gli scioperi di) dicembre: le rivendicazioni aziendali mascherano i motivi politici[…] [Pesce G. 2005].

 

 

 

In un tale clima di repressione alla Caproni esistevano però anche notevoli sacche di resistenza e già nel 1942 erano iniziate  azioni di resistenza e sabotaggio.

 

Prima della costituzione delle brigate partigiane, operava in fabbrica un’organizzazione clandestina antifascista di non più di 50 unità. Leonida Calamida, dipendente della Caproni e membro del PDA, nel suo libro autobiografico "Gli anni del dolore e della rabbia. Lotta antifascista dal 1935 al 1975" racconta […]che  negli stabilimenti di Via Mecenate vi fossero delle coperture politiche per gli antifascisti, pare certo. Gino Pauselli, già vice-comandante di un distaccamento della 116° Brigata Garibaldi SAP operante alla Caproni, intervistato da Luigi Borgomaneri nel 1976 […] rivela di essere stato assunto in fabbrica come operaio con una cinquantina di ”sbandati” nel novembre 1943 grazie all’interessamento del PCI [.…]di notte[…]alla Caproni non lavorava[…] Lui ed i 50 colleghi “turnisti” avevano tutto il tempo a disposizione per sabotare quel poco che era stato prodotto di giorno[…]. Stando a ciò che racconta Calamida (giellista e partigiano delle Brigate Mazzini)[…] in fabbrica ci organizzammo con scambio di notizie giornaliere[…] e con ritrovo plenario settimanale[…]si agiva già per cellule di cinque-sei compagni. Si discuteva di [...]organizzazione, si decidevano le azioni da compiere[…] [Calamida L. 1986 Leondi S. 2005].

 

Come ci conferma nella sua e-mail del 27.10.2017 il Dott. Claudio De Biaggi, storico milanese  e grande esperto della storia della Caproni soprattutto durante la resistenza, verso la fine del gennaio 1945 con l'aumento degli effettivi,  dalla 118° Brigata Garibaldi SAP vennero distaccati un centinaio di sappisti che andarono a costituire la 116° Brigata Garibaldi SAP "Luigi Campegi". In questa confluirono i militanti comunisti o simpatizzanti della Caproni: Comandante della Brigata  fu Bruno Galbiati (Marino), commissario politico Giacomo Bontempi (Beppi), vicecomandante Giacomo Dell’Orco (Pam). Poi, nei giorni dell’insurrezione, alla Caproni si costituì la 196° Brigata Garibaldi SAP che contava circa 200 effettivi.

 

Alla Caproni si ebbero ritorsioni, arresti e deportazioni. Si contarono più di 58 caduti per la Resistenza: 9 dipendenti morirono in combattimento nelle file partigiane o furono fucilati dopo la cattura; 10 furono arrestati e fucilati per rappresaglia; dei 66 casi di denuncia e successiva deportazione nei campi di concentramento tedeschi ben 39 si conclusero con la morte, e tra questi  vi era l’Ing. Antonio Molino, fratello di Walter Molino.

 

L’amicizia fra Walter Molino e Giovanni Camusso, nata quasi certamente nelle redazioni dei giornali a cui entrambi collaboravano, si era certamente rinforzata dalla conoscenza di Camusso con il fratello di Molino, Antonio, dirigente alla Caproni.

 

[...]Tempo dopo, altro episodio emblematico che porta alla ribalta un nuovo, silenzioso oppositore al regime, e che una volta di più ci dimostra quanto la propaganda antifascista abbia fatto breccia molto in alto alla Caproni: il Dottor Antonio Molino, fratello del celebre illustratore della Domenica del Corriere, segretario particolare del direttore  Bonanati, avvisa “cautamente e amichevolmente” Calamida […] che il responsabile del personale Cesare Cesarini, tenente colonnello onorario della Muti, Danesi, capo delle guardie e confidente dell’OVRA,  la polizia politica segreta, nonché un certo maggiore Guaraldi, massima autorità politica della Caproni, lo sorvegliano ritenendolo coinvolto in attività antifasciste. Calamida nega, però l’interlocutore, che la sa lunga, insiste perché interrompa il lavoro illegale se vuol salvare se e la propria famiglia, infine mi fece capire chiaramente che nonostante portasse sulla giacca il distintivo fascista, anche lui disprezzava il fascismo. Non gli risposi nulla ma non potevo più mentirgli. Gli strinsi forte la mano e lo salutai con calore. Un paio di volte ancora il Molino mi avvertì di stare in guardia e mi augurò poi buona fortuna. Pochi mesi dopo questi incontri il Molino fu arrestato dalle SS e deportato in un lager nazista, dove morì qualche mese più tardi. Non conobbi mai il motivo del suo arresto[…][Calamida C. 1986, Leondi S. 2005].

 

Fig. 7  Castello di Hartheim

Il dottor Antonio Molino, assieme agli operai, aveva sabotato la produzione della Caproni e incoraggiato gli scioperi. Arrestato dopo gli scioperi del marzo 1944 e deportato nel campo di Mauthausen,  fu poi trasferito nel sottocampo di Kalk-Ebensee. Durante la  prigionia non venne meno al proprio impegno entrando a far parte del Comitato di Liberazione Internazionale del lager con Franco Ferrante, giudice a Milano, Alberto Giuliani, operaio alla Tosi. Il comitato internazionale organizzò la “ rivolta dei Russi”, che consentì la fuga di molti prigionieri, poi in parte ricatturati. Molino fu trasferito al castello di Hartheim, lager nel quale i prigionieri erano oggetto di brutali esperimenti scientifici, dove morì il 28.09.1944. [Pappalettera V.  1965].

 

La personalità, l’integrità morale di Giovanni Camusso  possono  essere desunte  dalla lettera che egli scrisse al padre a fine aprile 1945, in cui tra l'altro dichiara che il proprio licenziamento dalla Caproni è intervenuto dopo l'8 settembre per evidenti motivi di rappresaglia.

 

[…]Ora sto facendo un esposto al Comitato d’Agitazione Operaia della Caproni, trovandomi  io nel caso d’un danneggiato politico essendo stato licenziato dopo l’8 settembre, in seguito a rappresaglia di 4 (?) fascisti che avevo denunciato alla Commissione di Fabbrica d’allora. Se il mio ricorso avrà buon esito, la Ditta mi deve pagare lo stipendio da allora fino ad oggi, che sarebbero 18 mesi a L. 2000, come minimo farebbero 36.000 lire. Ma credo sarà difficile ottenere qualcosa perché pretendono che dimostri d’aver aiutato il movimento insurrezionale. E sì che in casa mia fino a 8 giorni fa c’era nascosto proprio uno del Comitato, ricercato dalla Brigata Nera[…] [Camusso G. lettera 1945].

 

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